Lampedusa, porta d’Europa

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Lampedusa è un incanto.

D’immagini “da cartolina” che la ritraggono al massimo del suo splendore è stracolmo il web e non saranno di certo le mie a fare la differenza. E allora qui, dopo queste settimane di assenza, provo a raccontarti un’altra storia.

Sai… mentre navighi su quel mare da sogno, così limpido, così cristallino, non puoi non ritrovarti a pensare ai tanti che viaggiano “in direzione ostinata e contraria” su quello stesso Mare Nostrum.

Il Mediterraneo separa e unisce due continenti, l’Africa e l’Europa, e Lampedusa è quella piccola lingua di terra lì nel mezzo (a 205 km dalla Sicilia e a soli 113 dalla Tunisia) pronta a ricordarti, fisicamente e simbolicamente, che l’incontro, il dialogo, l’accoglienza e la solidarietà sono possibili.

Ultimamente mi capita spesso di pensare alle fortune che ho. Forse prima fra tutte quella di essere nata in una parte del Mondo che mi permette di essere la “benvenuta” in altre parti del Mondo: passaporto e Visto alla mano posso visitare qualsiasi posto io voglia. Ma come sarebbe stata la mia vita se fossi nata nella parte del mondo in cui devi richiedere asilo? In cui ti si dice che quel confine non lo puoi valicare? In cui devi sfuggire da un guerra ma non c’è un piano umanitario che sappia gestire questa tua fuga? Dove inizia il limite tra viaggiatore e rifugiato?

Insomma, mentre stai lì e ti godi le meraviglie che l’isola ti offre, sbatti anche il muso contro una realtà che ti ricorda che negli ultimi 20 anni quella stessa isola solare, accogliente e ricca di attrattive ha visto tanta disperazione, tanti morti, tante emergenze.  E non devi essere chissà quanto sensibile per percepirlo, lo senti nell’aria.

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Lo senti nei racconti dei lampedusani, che ti dicono che i primi ad arrivare con gli sbarchi venivano ospitati direttamente a casa degli isolani stessi;

lo senti negli occhi di quei ragazzi color ebano che incroci a mare o su via Roma e che si guardano gli Europei stando sulle panchine fuori dai locali ma che chissà cos’altro hanno vissuto, provato e perso, prima di arrivare sull’isola;

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lo senti mentre stai nel punto in cui Mimmo Paladino ha voluto si ponesse la sua creazione, la Porta d’Europa, monumento per i migranti deceduti e dispersi in mare. E la porta è stata posta lì perchè quello è il primo pezzo di terra che vede chi viene dal Mediterraneo ed è, quindi, sinonimo di “salvezza”;

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lo senti navigando su quel mare quando è grosso, col vento a 16 nodi, con lo stomaco sottosopra e pensi a loro che affrontano – dopo aver già affrontato il deserto – il Canale di Sicilia su quei gommoni, stipati come sardine, senza sapere se arriveranno vivi o morti;

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lo senti visitando il Museo della Fiducia e del Dialogo, in cui ampi spazi sono dedicati proprio alle storie dei migranti, nel tentativo di restituire dignità sia a chi ce l’ha fatta sia a chi, cercando di arrivare a Lampedusa, ha perso la vita.

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lo senti accendendo il telegiornale e sentendo che solo nei giorni in cui tu sei stato lì Medici senza Frontiere e la Guardia Costiera hanno tratto in salvo 5000 migranti..

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Allora niente, ti lascio con queste parole di Roberto Saviano sull’immigrazione e con qualche foto scattata nei giorni scorsi (in sequenza la Porta d’Europa – il mare visto dal mare – il Museo della Fiducia e del Dialogo ed il cimitero delle barche).

Io sono convinto che partire possa spesso significare RESISTERE, DIFENDERE LA PROPRIA DIGNITÀ, AVERE FEDE IN UNA POSSIBILITÀ DI MIGLIORARE LA PROPRIA VITA. Piero Calamandrei, uno dei nostri padri costituenti, aveva scritto delle righe sui nostri resistenti:

essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano. A noi è rimasto un compito cento volte più agevole: quello di tradurre in LEGGI CHIARE, STABILI E ONESTE IL LORO SOGNO DI UNA SOCIETÀ PIÚ GIUSTA E UMANA, DI UNA SOLIDARIETÀ DI TUTTI GLI UOMINI ALLEATI A DEBELLARE IL DOLORE.

NON DOBBIAMO TRADIRLI.”

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